IMPORRE L’INGLESE NEI RAPPORTI COI DELEGATI: PROFILO DI POSSIBILI CONDOTTA ANTISINDACALE
Imporre l’inglese come unica lingua nei rapporti con i delegati dei lavoratori può integrare una condotta antisindacale quando limita, di fatto, l’esercizio delle prerogative sindacali. La libertà e l’effettività dell’azione dei rappresentanti – principi tutelati dallo Statuto dei lavoratori – presuppongono che la comunicazione con l’azienda sia pienamente accessibile.
Se l’uso obbligatorio dell’inglese ostacola la comprensione di atti, informative o decisioni rilevanti, si crea uno squilibrio nel dialogo sindacale. L’imposizione linguistica può tradursi in una barriera, soprattutto quando non tutti i delegati dispongono di competenze sufficienti per partecipare con pari dignità alla discussione. Ne deriverebbe un pregiudizio concreto alla possibilità di svolgere le funzioni di tutela collettiva, configurando così un comportamento potenzialmente lesivo dell’attività sindacale.
L’azienda può naturalmente favorire l’uso dell’inglese in contesti internazionali, ma deve garantire strumenti che evitino esclusioni: documenti bilingue, traduzioni, possibilità di interloquire nella lingua nazionale. La scelta organizzativa non può comprimere i diritti sindacali né trasformarsi in un ostacolo alla rappresentanza. In assenza di adeguate tutele, l’obbligo unilaterale di usare l’inglese rischia quindi di essere valutato come una forma di antisindacalità.