SANZIONE E REVOCA LICENZA, CUMULABILI A PRECISE CONDIZIONI

   È indispensabile, fra l’altro, che la normativa nazionale non consenta di perseguire e di multare gli stessi fatti a titolo della stessa violazione o al fine di raggiungere lo stesso obiettivo La Corte di giustizia Ue, con la sentenza del 14 settembre 2023, causa C-820/2021, ha stabilito che la direttiva 118/2008, relativa al regime generale delle accise, non osta a una normativa interna che preveda la revoca di una licenza di esercizio di un deposito fiscale, in caso di violazione del regime delle accise considerata grave dalla normativa nazionale, cumulativamente a una sanzione pecuniaria già inflitta per i medesimi fatti, purché tale revoca non costituisca una misura sproporzionata. Una società bulgara, titolare di una licenza per l’esercizio di un deposito fiscale, che le consente di produrre, immagazzinare, ricevere e spedire prodotti alcolici soggetti ad accisa, è stata destinataria di un accertamento fiscale dell’amministrazione doganale bulgara, divenuto definitivo. Successivamente, alla stessa società è stata irrogata una sanzione amministrativa dallo stesso ente, per inosservanza dell’obbligo di applicare l’accisa esigibile. Pertanto, l’Amministrazione finanziaria bulgara ha inflitto alla compagine una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’importo dell’accisa non applicata, giusto il disposto della legge nazionale, confermata in giudizio e divenuta definitiva. All’esito della definitività di quest’ultima pronuncia, il direttore dell’Agenzia delle dogane revocava alla società la licenza per l’esercizio del deposito fiscale. La compagine proponeva ricorso al Tribunale amministrativo della città di Sofia, chiedendo l’annullamento di detta decisione. QUESTIONI PREGIUDIZIALI Il giudice – rilevando un possibile contrasto della normativa nazionale con il diritto unionale – decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: • come debba essere interpretato l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 118/2008, relativa al sistema generale delle accise, nella parte in cui prevede che l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio di un deposito fiscale è soggetta alle condizioni che le autorità hanno il diritto di stabilire per impedire ogni possibile evasione o abuso e quale debba essere il contenuto di tali condizioni, per realizzare il fine di impedire ogni possibile evasione o abuso • come vada interpretato il divieto di discriminazione ai sensi del considerando 10 della direttiva richiamata • come debbano essere interpretate le suddette condizioni e se debbano essere interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella bulgara, che prevede la revoca obbligatoria dell’autorizzazione per il futuro, senza preavviso e a tempo indeterminato, in aggiunta a una sanzione già inflitta per la stessa infrazione. LA DECISIONE Data l’irricevibilità della seconda questione per motivi di rito, la Corte di giustizia si occupa della prima e della terza questione pregiudiziale, premettendo che ciascuno Stato membro stabilisce le proprie norme in materia di fabbricazione, trasformazione e detenzione dei prodotti sottoposti ad accisa, fatta salva la direttiva richiamata sopra. Inoltre, la stessa direttiva specifica che la fabbricazione, la trasformazione e la detenzione dei prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione di accisa hanno luogo in un deposito fiscale. Riguardo al regime di autorizzazione di un tale deposito, la normativa sovranazionale precisa, da un lato, che l’apertura e l’esercizio di un deposito fiscale da parte di un depositario autorizzato sono subordinati all’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro in cui è situato il deposito fiscale, e, dall’altro, che tale autorizzazione è soggetta alle condizioni che le autorità hanno il diritto di stabilire per impedire ogni possibile evasione o abuso. Nel caso in esame, risulta che sia la sanzione pecuniaria inflitta alla società sia la revoca della sua licenza per l’esercizio di un deposito fiscale sono state decise a motivo di una violazione del regime delle accise commessa da quest’ultima e considerata grave dalla normativa nazionale. Ciò posto, la Corte Ue si interroga se, nel caso, sia stato violato il principio del ne bis in idem, secondo cui nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge. In particolare, occorre determinare se la sanzione pecuniaria e la revoca della licenza per l’esercizio di un deposito fiscale possano essere qualificate come “sanzioni di natura penale”, ai sensi dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ebbene – dopo uno scrutinio articolato della legislazione e della giurisprudenza sovranazionale di riferimento – i togati comunitari ritengono che, se la sanzione pecuniaria e la decisione di revocare la licenza per l’esercizio di un deposito fiscale devono essere considerate sanzioni di natura penale, l’articolo 50 della Carta può ostare a che sia adottata, nei confronti della società, la decisione di revoca della licenza per l’esercizio del deposito fiscale, circostanza che – però – spetta al giudice del rinvio verificare. Tuttavia, prosegue la Corte – anche supponendo che la sanzione pecuniaria o la decisione di revoca della licenza per l’esercizio di un deposito fiscale non costituiscano sanzioni penali ai fini dell’applicazione dell’articolo 50 della Carta, e che, pertanto, tale articolo non possa, in nessun caso, ostare al cumulo di queste due misure – detta decisione di revoca, oggetto della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio, dovrebbe comunque rispettare il principio di proporzionalità, in quanto principio generale del diritto dell’Unione. Detto principio, in particolare, impone agli Stati membri di avvalersi di mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, non devono eccedere quanto necessario a tal fine e arrecare il minor pregiudizio possibile agli altri obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa dell’Unione di cui trattasi. In questo senso, al fine di valutare, più in particolare, se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto della natura e della gravità della violazione che tale sanzione mira a reprimere. Ebbene, la normativa bulgara dispone che la revoca della licenza per l’esercizio di un deposito fiscale è disposta dall’amministrazione doganale, qualora il depositario autorizzato non abbia rispettato le condizioni previste dalla normativa nazionale per ottenere detta licenza e che tale ipotesi ricorre, in particolare, qualora, come nel caso in questione, detto depositario abbia commesso una violazione qualificata come grave nel diritto nazionale e che è stata oggetto di una sanzione pecuniaria definitiva. In sostanza, una violazione del regime delle accise è qualificata come grave dal diritto bulgaro, quando la violazione del regime delle accise ha dato luogo a un’ammenda di importo superiore a circa 7.600 euro. Inoltre, è necessario considerare le eventuali ripercussioni di una misura di revoca sul legittimo diritto del depositario autorizzato a esercitare un’attività economica, che appaiono severe, in quanto una siffatta revoca non è limitata nel tempo. Pertanto, concludono sul punto i giudici comunitari, anche se la privazione del beneficio del regime di so spensione dall’accisa collegato a un deposito fiscale sembra essere una misura proporzionata rispetto alla gravità di una violazione, come quella prevista dal diritto bulgaro, spetta tuttavia al giudice del rinvio stabilire se anche un’esclusione definitiva dal beneficio di un siffatto regime costituisca una misura proporzionata alla gravità di tale violazione. CONCLUSIONI L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 118/2008, relativa al regime generale delle accise, in combinato disposto con il principio di proporzionalità, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede la revoca di una licenza di esercizio di un deposito fiscale, in caso di violazione del regime delle accise considerata grave dalla normativa nazionale, cumulativamente a una sanzione pecuniaria già inflitta per i medesimi fatti, purché tale revoca, tenuto conto in particolare del suo carattere definitivo, non costituisca una misura sproporzionata rispetto alla gravità della violazione. Nel caso in cui tali due sanzioni abbiano natura penale, l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che non osta a una siffatta normativa nazionale a condizione che: – la possibilità di cumulare tali due sanzioni sia prevista dalla legge – la normativa nazionale non consenta di perseguire e di sanzionare gli stessi fatti a titolo della stessa violazione o al fine di raggiungere lo stesso obiettivo, ma preveda unicamente la possibilità di un cumulo dei procedimenti e delle sanzioni a titolo di normative diverse – tali procedimenti e tali sanzioni tendano a finalità complementari e abbiano per oggetto, eventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento illecito in questione, e esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e quali omissioni possano costituire l’oggetto di un cumulo di procedimenti e di sanzioni nonché il coordinamento tra le diverse autorità, che i due procedimenti siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo e che la sanzione eventualmente inflitta in occasione del primo procedimento sul piano cronologico sia stata presa in considerazione al momento della valutazione della seconda sanzione, di modo che gli oneri derivanti, a carico degli interessati, da un cumulo del genere siano limitati a quanto strettamente necessario e che il complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità delle violazioni commesse.

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