NON È GIUSTIFICATO IL LICENZIAMENTO DELLA LAVORATRICE CHE HA PRESO SOLDI: IL RAPPORTO DI FIDUCIA RESTA INTEGRO

Con l’Ordinanza n. 25347 del 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cardine in materia di licenziamento per giusta causa: non ogni condotta illecita del lavoratore comporta automaticamente la cessazione del rapporto. Nel caso specifico, una lavoratrice era stata licenziata per aver
sottratto modeste somme di denaro dall’azienda. Il datore aveva sostenuto che tale comportamento fosse sufficiente a determinare la rottura del vincolo fiduciario, ma la Suprema Corte ha respinto questa impostazione, dichiarando l’illegittimità del licenziamento.
La Cassazione ha precisato che il presupposto del recesso per giusta causa è rappresentato da una condotta tale da compromettere in modo definitivo e irreversibile il rapporto fiduciario, rendendo impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro. Nel caso di specie, l’entità del danno era minima e la dipendente non presentava precedenti disciplinari. Inoltre, non erano emersi elementi tali da giustificare la misura espulsiva più grave, in quanto il comportamento, pur censurabile, non aveva inciso sul futuro adempimento degli obblighi contrattuali.
Il principio di proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione irrogata, ha sottolineato la Corte, rimane centrale: il licenziamento è legittimo solo quando l’illecito renda davvero impraticabile il prosieguo del rapporto. In mancanza di tali condizioni, il recesso datoriale è ingiustificato.
Con questa decisione, la Suprema Corte rafforza l’orientamento secondo cui il licenziamento non può essere fondato unicamente sull’esistenza materiale di un illecito, ma deve sempre essere verificato se la fiducia reciproca tra le parti sia stata effettivamente compromessa.