IMBRATTARE RESTA REATO: LA CONSULTA CONFERMA LA LEGITTIMITÀ DELL’ART. 639 C.P.

Con la sentenza n. 105/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate contro l'art. 639 c.p., confermando che l'imbrattamento di cose altrui resta penalmente rilevante. La scelta del Legislatore, secondo la Corte, è giustificata dall'esigenza di contrastare il degrado urbano e tutelare un interesse collettivo legato all'estetica e al decoro degli spazi pubblici.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 105/2025, ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze sull'art. 639 c.p., che punisce il deturpamento e l'imbrattamento di cose altrui.
Il giudice rimettente aveva contestato la norma ritenendola irragionevole e sproporzionata, soprattutto considerando che il danneggiamento semplice è stato depenalizzato e trasformato in illecito civile. In particolare, veniva messa in dubbio la legittimità della previsione che mantiene la rilevanza penale anche per fatti meno gravi che non compromettono la funzionalità del bene.
La Corte ha ribadito che, sebbene il danneggiamento semplice sia stato espunto dal Codice penale, la condotta di imbrattamento continua ad avere rilievo penale, come frutto di una precisa scelta legislativa diretta a contrastare fenomeni diffusi di illegalità e a salvaguardare il decoro urbano. Tale volontà è stata ulteriormente confermata dalla recente
introduzione, con il D.L. n. 48/2025 convertito nella Legge n. 80/2025, di una nuova figura di reato che ha rafforzato l'art. 639 c.p., attribuendo rilevanza autonoma e collettiva a condotte che danneggiano l'estetica urbana.
Secondo la Corte, l'intervento auspicato dal giudice a quo implicherebbe un riassetto complessivo della disciplina sanzionatoria, operazione che esula dalle competenze della Corte stessa. Per questo motivo, ha dichiarato inammissibili tanto la questione relativa alla sanzione penale, quanto quella subordinata riguardante la procedibilità d'ufficio nei casi previsti dal comma 2 dell'art. 639 c.p.
Corte di Cassazione, sentenza (ud. 7 aprile 2025) 10 luglio 2025, n. 105

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