IL CURATORE FALLIMENTARE NON PUÒ RICONOSCERE LA PROPRIETÀ DEI BENI: ORDINANZA
L’ordinanza in esame stabilisce un principio rilevante per la procedura concorsuale: il curatore fallimentare non può “riconoscere” la proprietà dei beni che costituiscono la massa attiva del fallimento. In pratica, tale figura riveste un ruolo esclusivamente gestionale-amministrativo, non può arrogarsi la titolarità di diritti reali sui beni né dichiararli di proprietà del fallito o di terzi.
Nel momento in cui viene dichiarato il fallimento, scatta lo spossessamento dell’imprenditore o della società debitrice: egli perde l’amministrazione e la disponibilità dei beni, che passano nella sfera della massa attiva della procedura concorsuale. Tuttavia, non viene trasferita automaticamente la proprietà di tali beni al curatore. Quest’ultimo subentra solo nell’attività di gestione, conservazione e liquidazione del patrimonio.
Ne consegue che il curatore non può intervenire con masse proprie per riconoscere la titolarità della proprietà, né può procedere ad atti in cui si affermi che un bene sia di proprietà del fallito o che “riconosca” tale titolarità a favore di terzi, senza che vi sia un accertamento giudiziale della proprietà stessa o un provvedimento che la attribuisca.
La ragione è duplice: da un lato, si preserva la funzione pubblicistica del fallimento, che mira alla parità di trattamento dei creditori (par condicio creditorum) e non a privilegiare singoli soggetti tramite una “riconsegna” della proprietà che sortirebbe effetti pregiudizievoli. Dall’altro lato, la qualità di bene già confluito nella massa attiva esige che ogni rivendicazione di proprietà da parte di terzi debba essere valutata nell’ambito della procedura concorsuale, così da tutelare l’integrità dell’attivo e garantire che lo stesso venga liquidato per soddisfare i creditori.
In concreto, se un terzo avanza una domanda di rivendicazione o restituzione di un bene attribuito al fallito, non sarà legittimato il curatore a dichiararne unilateralmente la proprietà o a riconoscerla a favore del reclamante, ma occorrerà un giudizio che accerti la titolarità. Allo stesso modo, qualora il curatore intendesse impugnare provvedimenti che interessano i beni della massa (come sequestri o misure cautelari reali), non potrà farlo sulla base di un presunto diritto di proprietà sui beni stessi: la sua posizione è quella di amministratore della massa, non di proprietario o di soggetto titolato alla restituzione in proprio.
In sintesi: l’ordinanza ribadisce che la funzione del curatore fallimentare è essenzialmente quella di custode e gestore del patrimonio del fallito, finalizzata al soddisfacimento dei creditori, e non quella di soggetto dotato di potere di riconoscimento della proprietà dei beni. Qualsiasi attribuzione di proprietà richiede una verifica giurisdizionale, nel rispetto delle garanzie procedurali e della tutela della massa attiva.
Questo chiarimento assume rilievo sia per la prassi dei curatori che per gli operatori del diritto: occorre prestare attenzione nel formulare domande di restituzione o rivendica, e tenere presente che il curatore non può pretendere di “convalidare” titolarità proprietarie sui beni della massa, né può agire come se fosse un proprietario stesso. Il bene entra nella procedura concorsuale, non esce con una nuova proprietà riconosciuta dal curatore.