MOLESTIE SUL LAVORO: LA VITTIMA È CREDIBILE ANCHE SE NON DENUNCIA SUBITO

La Corte d'Appello di Torino, con sentenza n. 150/2025, precisa che la credibilità di una vittima di molestie sessuali sul lavoro non può essere messa in discussione solo perché non ha denunciato immediatamente. Il ritardo nella segnalazione, il desiderio di riservatezza o l'iniziale esitazione non invalidano la veridicità della sua testimonianza, soprattutto quando supportata da altri elementi probatori.
La controversia oggetto d'esame trae origine dal licenziamento per giusta causa irrogato a un lavoratore il 12 maggio 2023, successivamente impugnato in giudizio. In particolare, il Giudice di prime cure dichiarava l'illegittimità del licenziamento, ritenendolo di natura ritorsiva in quanto conseguenza delle pregresse rivendicazioni retributive del dipendente. Di conseguenza, ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro dell'accusato, ritenendo insussistenti le condotte contestate dal datore di lavoro.
Quest'ultimo propone appello, censurando la decisione del Tribunale per il mancato riconoscimento dell'attendibilità delle testimonianze a suo favore e per l'errata valutazione della gravità dei comportamenti del lavoratore. Nello specifico, l'appellante contesta il fatto che il Giudice di primo grado avesse considerato irrilevante l'abbandono ingiustificato della postazione di lavoro e avesse escluso la veridicità delle dichiarazioni dei testimoni aziendali, i quali avevano riferito di aver visto il lavoratore in stato di ebbrezza e di aver assistito a molestie nei confronti di una collega.
In sede di gravame, la Corte ha ritenuto di focalizzarsi esclusivamente sulla condotta più grave contestata al lavoratore, ossia le molestie sessuali nei confronti di una collega. Nello specifico, il Giudice del gravame ha ritenuto credibile la deposizione della vittima, evidenziando come il suo racconto fosse coerente con le dichiarazioni rese immediatamente dopo i fatti e con gli elementi oggettivi emersi, come l'ammissione del lavoratore di aver consumato alcol poco prima dell'episodio. La Corte ha inoltre censurato la decisione del Tribunale di primo grado laddove aveva attribuito scarsa attendibilità alla vittima sulla base del suo comportamento successivo alla molestia, osservando che la reazione di chi subisce una condotta del genere non può essere utilizzata per metterne in dubbio la veridicità del racconto.
In conclusione, la Corte distrettuale ha confermato la piena credibilità della vittima, respingendo le argomentazioni, fornite dal Tribunale, volte a sminuirla. Nello specifico, il Giudice di prime cure riteneva che il comportamento della donna, consistente nel non aver immediatamente denunciato l'accaduto e nel manifestare una certa riservatezza successiva, non possa in alcun modo compromettere l'affidabilità del suo racconto.
Queste modalità reattive, tipiche di chi subisce un evento traumatico, non sono state interpretate come segno di artificiosità, ma come manifestazione naturale della difficoltà di fronte a situazioni di forte impatto emotivo. La coerenza interna e l'immediatezza, poi, con cui la vittima ha confermato la propria testimonianza hanno rafforzato ulteriormente la validità del suo racconto, rendendo infondate le ipotesi di una falsa denuncia.
Pertanto, alla luce di tali considerazioni, l'appello del datore di lavoro è stato accolto e il licenziamento per giusta causa è stato ritenuto legittimo.
Corte d’Appello di Torino, sez. Lavoro, sentenza 17 marzo 2025, n. 150