MINACCIARE IL CAPO PUÒ COSTARE IL POSTO DI LAVORO

Può perdere il posto per insubordinazione chi, in ufficio, minaccia il capo; ciò anche se l'intimidazione era solo ipotetica e non ha spaventato il superiore. La Corte di Cassazione ha stabilito ciò l'Ordinanza n. 4320 del 19 febbraio 2024, accogliendo il ricorso di un'azienda contro una lavoratrice che aveva minacciato il suo capo durante una riunione, usando parole offensive. Sul punto, la Corte spiega che, in materia disciplinare, il procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, tipizzata dalle parti collettive, non consente una tale operazione logica quando la condotta del lavoratore sia caratterizzata da elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti, rispetto alla previsione contrattuale ed è insufficiente un'indagine che si limiti a veri ficare se il fatto addebitato è riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva, essendo sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

TOP