TERMINI DI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO: LE ECCEZIONI OLTRE I 60 GIORNI
In base alla normativa italiana, il lavoratore che intende contestare un licenziamento deve impugnarlo entro 60 giorni dalla sua comunicazione. Questo termine, però, riguarda solo l’impugnazione stragiudiziale, cioè l’atto scritto con cui si manifesta la volontà di opporsi. Superata tale scadenza, il licenziamento diventa in linea generale definitivo.
Esistono tuttavia situazioni particolari in cui è possibile superare il limite dei 60 giorni. La giurisprudenza ha riconosciuto alcune eccezioni quando il lavoratore non ha potuto agire per cause non imputabili alla sua volontà, come l’errore indotto da informazioni incomplete o fuorvianti fornite dal datore di lavoro, oppure nei casi in cui la comunicazione del licenziamento risulti irregolare o ambigua. In queste situazioni, il termine può iniziare a decorrere solo quando il lavoratore acquisisce piena consapevolezza della natura e delle ragioni del recesso.
Un’altra eccezione riguarda i licenziamenti nulli, ad esempio quelli
discriminatori o intimati in violazione di tutele previste dalla legge. In tali ipotesi, l’impugnazione non è soggetta ai termini ordinari, poiché la nullità rende il licenziamento inefficace sin dall’origine.
Per questo, quando sorgono dubbi sui termini o sulla validità del recesso, è fondamentale rivolgersi tempestivamente a un professionista per valutare eventuali margini di tutela anche oltre i canonici 60 giorni.