SMART WORKING DALL’ESTERO: QUANDO L’AZIENDA RISCHIA LA STABILE ORGANIZZAZIONE
Il crescente ricorso allo smart working dall’estero pone le imprese davanti a un tema delicato: il rischio di configurare una stabile organizzazione nel Paese in cui il lavoratore opera. La questione è rilevante soprattutto sotto il profilo fiscale, poiché la stabile organizzazione comporta l’assoggettamento a imposizione dei redditi d’impresa nello Stato estero.
In linea generale, secondo i principi OCSE e la normativa interna, la stabile organizzazione si configura quando l’impresa dispone all’estero di una sede fissa di affari attraverso la quale esercita, in tutto o in parte, la propria attività.
Il semplice lavoro da remoto del dipendente non è di per sé sufficiente: occorre verificare se l’attività svolta all’estero sia abituale, non meramente ausiliaria e se l’impresa abbia una effettiva disponibilità del luogo da cui il lavoratore opera.
Un ulteriore profilo critico riguarda la cosiddetta stabile organizzazione personale, che può sorgere quando il dipendente ha il potere di concludere contratti in nome dell’azienda o svolge un ruolo essenziale nel processo decisionale. In tali casi, anche in assenza di una sede fisica formalmente riconducibile all’impresa, l’Amministrazione finanziaria estera potrebbe contestare la presenza di una stabile organizzazione.
Per ridurre i rischi, le imprese dovrebbero adottare policy chiare sul lavoro da remoto internazionale, limitando durata e funzioni svolte all’estero, ed effettuare una valutazione preventiva caso per caso. Lo smart working oltreconfine, se non correttamente gestito, può infatti trasformarsi da opportunità organizzativa a rilevante esposizione fiscale.