QUANDO L’ASSENZA DIVENTA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO

Nel rapporto di lavoro subordinato, la presenza del dipendente non è soltanto un obbligo contrattuale, ma un elemento essenziale per il corretto svolgimento dell’attività aziendale. Per questo motivo, l’assenza ingiustificata può assumere una gravità tale da giustificare il licenziamento immediato, senza necessità di preavviso.
La giurisprudenza ha più volte chiarito quali siano i confini di questa facoltà datoriale. Un punto fermo è rappresentato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 33134 del 10 novembre 2022, secondo cui l’assenza ingiustificata — e non la semplice tardiva giustificazione — può integrare un comportamento idoneo a ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. La Suprema Corte ha evidenziato che è decisivo non il ritardo nella comunicazione, ma la mancanza di una valida giustificazione al momento dell’assenza e la conseguente impossibilità per l’azienda di organizzarsi.
In concreto, la giusta causa può configurarsi quando il lavoratore si assenta senza preavviso né motivazione per più giorni, compromettendo il funzionamento del reparto o creando disservizi significativi. L’assenza reiterata o prolungata, unita al silenzio del dipendente, può infatti far venir meno il rapporto fiduciario, che è alla base del contratto di lavoro.
La Corte ha però ricordato che ogni caso deve essere valutato nella sua specificità: ruolo del lavoratore, durata dell’assenza, eventuale recidiva e conseguenze organizzative. Il datore è quindi tenuto a dimostrare la gravità del comportamento e la proporzionalità del licenziamento.
In sintesi, l’assenza può diventare giusta causa solo quando non sia giustificata né comunicata e comporti una rottura dell’affidamento necessario nel rapporto di lavoro.
TOP