LA CORTE UE BOCCIA I CRITERI SUI SALARI MINIMI IMPOSTI DALLA DIRETTIVA EUROPEA
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha annullato le disposizioni della Direttiva (UE) sui salari minimi che stabilivano criteri vincolanti per la determinazione delle retribuzioni, ritenendole in contrasto con le competenze attribuite ai singoli Stati membri. Secondo la sentenza, l’Unione può fissare obiettivi generali in materia di condizioni di lavoro dignitose, ma non può intervenire direttamente nella definizione dei criteri che determinano il livello delle retribuzioni minime, ambito che resta di competenza nazionale.
La Direttiva, adottata nel 2022, mirava a garantire salari minimi “adeguati e sostenibili” in tutta l’UE, invitando gli Stati a stabilire meccanismi di aggiornamento basati su parametri come il costo della vita, la produttività e il potere d’acquisto. Tuttavia, la CGUE ha ritenuto che tali indicazioni configurassero un’ingerenza eccessiva nella contrattazione collettiva e nelle politiche salariali interne.
La decisione segna un importante precedente nel bilanciamento tra integrazione sociale europea e sovranità economica degli Stati. Pur ribadendo l’importanza di combattere la povertà lavorativa, la Corte ha sottolineato che gli strumenti per farlo devono rispettare le competenze nazionali e la libertà delle parti sociali.
La Commissione europea ha espresso rammarico per la sentenza, annunciando che valuterà nuove proposte compatibili con il quadro giuridico delineato dalla Corte. I sindacati, invece, temono che la decisione rallenti il processo di armonizzazione dei diritti salariali in Europa, mentre le associazioni datoriali accolgono con favore il ritorno di maggiore flessibilità nelle politiche retributive nazionali.