L’USO ESCLUSIVO DELL’INGLESE NEI RAPPORTI CON I DELEGATI DEI LAVORATORI: UN COMPORTAMENTO ANTISINDACALE

L’imposizione dell’uso esclusivo della lingua inglese nei rapporti tra azienda e rappresentanze sindacali può integrare una condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, ordinanza n. 28790 del 31 ottobre 2025, confermando che la scelta unilaterale del datore di lavoro di svolgere riunioni e trattative sindacali soltanto in inglese limita la partecipazione effettiva dei rappresentanti dei lavoratori, ostacolando l’esercizio dell’attività sindacale.
Nel caso esaminato, una multinazionale aveva imposto l’inglese come unica lingua nelle relazioni con le organizzazioni sindacali, senza garantire traduzioni o interpretariato. La Corte ha ritenuto che tale condotta compromettesse il diritto alla comprensione e al pieno confronto, elementi essenziali della libertà sindacale tutelata dalla legge.
Secondo la Suprema Corte, la lingua non è un mero strumento formale, ma un presupposto sostanziale per l’effettività del dialogo sindacale: imporne una senza garantire pari accesso alla comunicazione costituisce una limitazione indebita.
La decisione conferma un orientamento volto a tutelare la reale partecipazione dei lavoratori, anche nei contesti multinazionali, riaffermando che la globalizzazione linguistica non può tradursi in una compressione dei diritti sindacali.
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