I SOLDI SUL CONTO COINTESTATO APPARTENGONO AL SOLO CONIUGE CHE HA COSTITUITO IL PATRIMONIO

La Cassazione accoglie il ricorso della moglie, titolare degli assegni circolari confluiti sul c/c e unica fonte di provvista, che chiedeva all'ex di restituirgli 200mila euro prelevati dal conto cointestato. Il Tribunale accoglieva la richiesta di una donna di ottenere l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti dell'ex coniuge per il pagamento dell'importo di oltre 200mila euro in quanto di propria esclusiva pertinenza e prelevata dall'ingiunto, senza il proprio consenso, dal conto corrente cointestato. Si opponeva l'ex marito assumendo che si trattava di somme di propria pertinenza e, comunque, stante la cointestazione, appartenenti in parti uguali ai cointestatori. La Corte d'Appello ribaltava il verdetto di primo grado sostenendo che mancava la prova, il cui onere incombeva all'opposta, della affermata esclusiva titolarità delle somme pretesa in restituzione. La controversia giunge in Cassazione, dove la donna sostiene di aver fornito piena prova, documentale prima ancora che per presunzioni, di aver provveduto in via esclusiva a costituire la provvista del conto versandovi 25 assegni circolari emessi dalla Banca in suo favore, quale unica beneficiaria. A tal proposito, argomenta che l'unico soggetto legittimato ad incassare e/o a versare un assegno circolare è il beneficiario indicato nel titolo, in quanto l'assegno circolare è un titolo all'ordine di cui non è consentita l'emissione al portatore; ne consegue che l'unico soggetto legittimato a negoziare l'assegno circolare è il beneficiario dello stesso che è, quindi, l'unico titolare dei relativi diritti. La Suprema Corte accoglie il ricorso con ordinanza n. 1643 del 23 gennaio 2025. In via preliminare, ribadisce che «la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 cod. civ.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto (art. 1298, secondo comma, cod. civ.), ma tale presunzione dà luogo soltanto all'inversione dell'onere probatorio, e può essere superata dalla prova contraria - e ciò anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti - dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa». Coglie dunque nel segno la censura là dove prospetta anche un vizio di sussunzione ravvisato nella erronea applicazione della presunzione (iuris tantum) di contitolarità per parti uguali delle somme esistenti su conto corrente in una fattispecie in cui emergeva come dato pacifico che quelle somme provenivano da assegni circolari emessi in favore di uno solo dei cointestatari e, al contempo, nella violazione della disciplina dei titoli di credito. Secondo la Cassazione, la Corte territoriale ha omesso di considerare che l'assegno circolare, pur costituendo un mezzo di pagamento (in quanto il creditore non ha normalmente ragione di dubitare della regolarità e dell'autenticità del titolo e non ha un apprezzabile interesse a pretendere l'adempimento in denaro), conserva la natura di titolo di credito: «come tale esso partecipa delle caratteristiche proprie di ogni titolo di credito, tradizionalmente indicate nella astrattezza (la posizione giuridica del titolare dell'assegno è indipendente dalla causa della sua emissione), autonomia (l'acquisto del diritto incorporato nel titolo avviene a titolo originario), letteralità (il contenuto del diritto è ritagliato nel documento; esso non dà nulla di più e nulla di meno di quanto emerge dalla lettera del documento)».

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