TBC: LA CONSERVAZIONE DEL POSTO DI LAVORO RIGUARDA LA MALATTIA DEL LAVORATORE, NON QUELLA DELLA FIGLIA DELLO STESSO

È legittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore in quarantena perché la figlia è affetta da tubercolosi (Tbc). Questo quanto statuito dalla Corte di Cassazione con Ordinanza n. 15390 del 3 giugno 2024. L'articolo 10 della Legge n. 419/1975  dispone la sospensione del rapporto di lavoro, con conservazione del posto, per tutto il periodo in cui il lavoratore è affetto da tubercolosi fino a 6 mesi dopo la data di dimissioni dal luogo di cura per avvenuta guarigione o stabilizzazione della malattia. La garanzia della conservazione del posto di lavoro non è limitata all'ipotesi di ricovero del lavoratore in un istituto di cura specializzato, ma comprende qualsiasi modalità di cura, anche ambulatoriale o domici liare. Infatti, la finalità della norma è quella di vincolare il mantenimento del posto di lavoro per tutta la durata in cui il lavoratore ammalato risulti bisognoso di cure, nonché per ulteriori 6 mesi dopo il verificarsi di uno dei due suddetti eventi (guarigione o stabilizzazione della malattia). La Cassazione sottolinea che la tutela prevista dal citato articolo 10 è chiaramente e strettamente collegata alla tutela del lavoratore ammalato di tubercolosi. Del tutto diverso è il caso di assenza del lavoratore per malattia della figlia, che non rientra nell'ipotesi di prolungamento del comporto per carenza del requisito della malattia tubercolare del lavoratore.

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