TUTELA DELLA LAVORATRICE IN GRAVIDANZA: LA REVOCA DEL LICENZIAMENTO E LE CONSEGUENZE GIURIDICHE

La tutela della lavoratrice in gravidanza trova un presidio fondamentale nel divieto di licenziamento durante il periodo protetto, che comprende la gravidanza e, in determinati casi, anche il periodo postpartum. In tale contesto particolare assume rilievo la figura della revoca del licenziamento da parte del datore di lavoro, come strumento per sanare un recesso intimato in violazione del divieto, e le conseguenze giuridiche che ne derivano. L’ultima pronuncia della Cassazione – in particolare le sentenze n. 26954 e n. 26957 del 7 ottobre 2025 – chiarisce i termini e gli effetti della revoca nel caso della lavoratrice in stato di gravidanza. Secondo la Corte, il diritto potestativo del datore di lavoro di revocare il licenziamento, previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 23/2015, decorre dalla data dell’impugnazione del recesso da parte della lavoratrice, e non dalla successiva comunicazione dello stato di gravidanza o da una conoscenza successiva del vizio del licenziamento. Invero, il termine di quindici giorni è perentorio e non è suscettibile di sospensione o interruzione. In applicazione di tale principio, la revoca del licenziamento intervenuta oltre il termine perde efficacia salvifica e non impedisce che il licenziamento venga dichiarato nullo,
con conseguente obbligo di reintegrazione della lavoratrice e risarcimento del danno. Nel campo della gravidanza, la nullità del licenziamento è già stabilita in via generale dalla normativa speciale (art. 54 d.lgs. 151/2001) che vieta il licenziamento dalla gravidanza fino al compimento del primo anno di vita del bambino, salvo gravi motivi – e tale divieto prevale anche nel caso di superamento del periodo di comporto. A ciò si aggiunge che, se la revoca è tempestiva, il rapporto viene considerato come non interrotto, impedendo l’applicazione delle sanzioni ordinarie: ma se la revoca è tardiva, la lavoratrice può ottenere la reintegrazione, il risarcimento delle retribuzioni perdute e il versamento dei contributi previdenziali. In concreto, quindi, la lavoratrice licenziata durante lo stato di gravidanza — qualora impugni il recesso e il datore non revoca entro 15 giorni — potrà ottenere che il licenziamento sia dichiarato nullo con piena tutela ripristinatoria del rapporto e risarcitoria del danno subito. È importante che la lavoratrice agisca tempestivamente nella fase di impugnazione, perché da essa decorre il termine di revoca: una revoca intervenuta anche in un momento successivo non determina sanatoria, e il datore non può esimersi dalle conseguenze della nullità. In sede pratica, ciò significa che in presenza di licenziamento di lavoratrice incinta è opportuno
verificare immediatamente la data dell’impugnazione e della eventuale revoca del datore, controllando se il termine è stato rispettato; in caso di revoca tardiva è consigliabile richiedere la reintegrazione e il risarcimento in forza della normativa di tutela speciale. In conclusione, la revoca del licenziamento rappresenta un possibile rimedio per il datore di lavoro, ma nel caso della lavoratrice in gravidanza opera in un contesto di tutela rafforzata: se non rispettati i termini fissati dalla Cassazione, la nullità del licenziamento e il diritto al risarcimento restano pienamente attivi.

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