LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO PER RISCHIO MATERNITÀ: ILLEGITTIMO ALLONTANARE UNA LAVORATRICE SOLO PERCHÉ POTREBBE RESTARE INCINTA

Con l’Ordinanza n. 24245 del 31 agosto 2025, la Corte di cassazione ha confermato la nullità del licenziamento di una dipendente che aveva espresso l’intenzione di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (PMA). La lavoratrice era stata allontanata poco dopo aver manifestato al datore di lavoro la volontà di intraprendere un percorso di gravidanza attraverso tecniche di fecondazione assistita.
Secondo la Suprema Corte, il licenziamento è da ritenersi discriminatorio, in quanto fondato su una condizione personale legata al sesso e alla maternità.
La decisione ribadisce che anche il solo progetto di maternità, ancor prima di uno stato di gravidanza accertato, rientra nelle tutele previste dall’ordinamento a salvaguardia della parità di genere.
Si tratta di un importante passo avanti nella tutela delle donne nel mondo del lavoro, soprattutto in un contesto in cui le scelte riproduttive possono ancora oggi costituire, di fatto, un ostacolo alla stabilità occupazionale. La Corte ha ricordato che il licenziamento fondato su ragioni discriminatorie è nullo, comporta la reintegrazione nel posto di lavoro e dà diritto al risarcimento del danno.
Questa pronuncia rafforza il principio secondo cui nessuna donna può essere penalizzata per la sola possibilità di diventare madre, riaffermando il diritto alla genitorialità libera da pressioni o ritorsioni lavorative.

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