LAVORO SENZA SOSTA PER 12 ORE: L’ASL DOVRÀ RISARCIRE I DIPENDENTI PER STRESS E DANNO PSICO-FISICO

Una sentenza significativa segna un punto importante nel dibattito sul benessere dei lavoratori della sanità. Un gruppo di operatori sanitari ha ottenuto giustizia dopo anni di turni massacranti, spesso superiori alle dodici ore consecutive, senza pause adeguate e in condizioni di forte stress. Il tribunale ha riconosciuto il danno psico-fisico derivante da una gestione del lavoro ritenuta lesiva della dignità e della salute dei dipendenti, condannando l’azienda sanitaria al risarcimento.
La decisione rappresenta un passo decisivo verso il riconoscimento della fatica e delle conseguenze psicologiche che derivano da turni prolungati e dall’assenza di recupero. Per anni, infermieri, medici e operatori tecnici hanno dovuto affrontare carichi di lavoro intensi, spesso aggravati dalla carenza di personale e dalla necessità di garantire continuità assistenziale. Le testimonianze hanno descritto un contesto lavorativo in cui la dedizione professionale veniva data per scontata, senza un’adeguata tutela del diritto al riposo.
Secondo la ricostruzione, i dipendenti erano costretti a rimanere in servizio per intere giornate, con brevi intervalli non formalizzati e senza la possibilità di un vero recupero fisico o mentale. La conseguenza è stata un progressivo logoramento, manifestatosi in disturbi dell’umore, insonnia, cali di concentrazione e una generale compromissione dello stato di salute. Il giudice ha riconosciuto che tali condizioni configurano un danno reale e concreto, derivante da una organizzazione del lavoro inadeguata e contraria ai principi di tutela della persona.
La sentenza non riguarda solo il singolo caso, ma solleva una questione più ampia: la sostenibilità dei ritmi imposti al personale sanitario, soprattutto in contesti pubblici dove le risorse sono spesso insufficienti. La logica dell’efficienza non può trasformarsi in una forma di sfruttamento sistematico, che finisce per compromettere non solo il benessere dei lavoratori ma anche la qualità dell’assistenza ai cittadini. Il diritto alla salute, infatti, non è solo quello dei pazienti, ma anche di chi opera ogni giorno per garantirlo.
Il risarcimento disposto dal tribunale rappresenta un segnale di civiltà, che richiama le aziende sanitarie a una maggiore attenzione nei confronti dell’organizzazione del lavoro. Garantire pause effettive, turni sostenibili e un clima di rispetto reciproco non è un privilegio, ma un obbligo previsto dalle norme e dai principi di sicurezza sul lavoro. Questo caso diventa quindi un precedente significativo, destinato a influenzare la gestione del personale sanitario e a riaprire il dibattito su un tema troppo a lungo ignorato.
In un momento in cui il sistema sanitario continua a reggere grazie all’impegno di chi lavora in prima linea, il riconoscimento del danno da usura psico-fisica assume un valore simbolico e umano. Significa restituire dignità a chi, tra sacrifici e responsabilità enormi, ha continuato a garantire un servizio essenziale, spesso a costo della propria salute.
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