BESTEMMIA IN FABBRICA MA IL LICENZIAMENTO È ILLEGITTIMO SE IL CCNL PREVEDE SOLO SANZIONI CONSERVATIVE

Un episodio di rabbia sul posto di lavoro non giustifica il licenziamento: lo ha confermato la Suprema Corte ordinando la reintegra del dipendente, licenziato dalla società dopo urla, bestemmie e calci a flaconi in reparto. Niente danni o turbamenti ai colleghi: per i giudici, la sanzione espulsiva è sproporzionata rispetto alla condotta.
La controversia oggetto di disamina riguarda l’impugnazione del
licenziamento disciplinare intimato da una società a un dipendente, per una condotta ritenuta dall’azienda particolarmente grave, e la successiva reintegrazione disposta dai giudici di merito.
In particolare, la società aveva contestato al dipendente un episodio avvenuto sul luogo di lavoro, in cui, in un eccesso d’ira, aveva urlato, bestemmiato, preso a calci oggetti e mostrato atteggiamenti aggressivi. Tuttavia, né il Tribunale né la Corte d’Appello avevano ritenuto tale comportamento idoneo a integrare una giusta causa di licenziamento. Entrambi i giudici avevano evidenziato l’assenza di prove circa danni effettivi alla produzione o ai macchinari, l’assenza di insulti o aggressioni dirette verso colleghi o superiori, e la mancanza di turbamento tra i lavoratori.
Inoltre, era stata valorizzata la proposta conciliativa di riassunzione avanzata dalla stessa società pochi giorni dopo il recesso, come elemento indicativo dell’assenza di una reale rottura insanabile del rapporto fiduciario. Per questi motivi, era stata applicata la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, c. 4, dello Statuto dei Lavoratori.
Contro tale decisione la società ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 17548 del 30 giugno 2025, rigetta il ricorso proposto dalla società contro la decisione della Corte territoriale che aveva confermato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore.
secondo la Cassazione il giudice di merito ha correttamente ricondotto la condotta del lavoratore a una violazione disciplinare sanzionabile in via conservativa secondo il contratto collettivo, e non a una delle ipotesi previste per il licenziamento immediato. La Corte, sulla questione richiama anche una giurisprudenza secondo cui la contrattazione collettiva, nella previsione di sanzioni conservative per determinate condotte, preclude l’applicazione di sanzioni espulsive.
Per cui, la Corte di legittimità conclude affermando che il comportamento del lavoratore non poteva essere sanzionato con il licenziamento, ma solo con una sanzione disciplinare più lieve, come una multa o una sospensione, secondo quanto previsto dal CCNL applicabile.
Nella fattispecie in esame, la condotta del dipendente non ha provocato danni né turbamento, non è stata rivolta direttamente contro colleghi o superiori, e si è interrotta immediatamente all’intervento del responsabile. Quindi, secondo i
giudici, non può essere considerata tra le infrazioni gravi per cui il CCNL ammette il licenziamento immediato.
In definitiva, la Corte precisa che il giudice, nel qualificare la condotta e nel selezionare la sanzione, deve attenersi a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, la quale, esprimendo l’autonomia sindacale tutelata dalla Costituzione, vincola l’interprete e preclude l’applicazione del licenziamento laddove le parti sociali abbiano previsto sanzioni meno gravi.

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