IL LAVORATORE LICENZIATO PUÒ DENUNCIARE IL PROPRIO DATORE DI LAVORO CHE NON PUÒ ASSUMERE UN NUOVO DIPENDENTE AL SUO POSTO IN ALCUNI CASI.
Perdere il lavoro è una cosa spiacevole, soprattutto se proprio questa attività è la fonte di reddito principale di una famiglia. Da due anni a questa parte, per via della grave crisi economica scatenatasi per via della pandemia, non sono poche le attività cessate o che hanno ridotto l’attività. E non sono pochi gli italiani che hanno perso il lavoro. E per via della crisi, il secondo effetto è quello della mancanza di nuove opportunità. Il lavoro latita e chi lo perde resta disoccupato. C’è uno spaccato particolare di questa situazione che riguarda i datori di lavoro, che spesso adducendo a crisi aziendali ed economiche, mettono alla porta i lavoratori, salvo poi assumerne altri. Una pratica non sempre lecita come vedremo adesso.
IL LAVORATORE LICENZIATO PUÒ DENUNCIARE IL PROPRIO DATORE DI LAVORO CHE NON PUÒ ASSUMERE UN NUOVO DIPENDENTE AL SUO POSTO IN QUESTI CASI
A volte le lettere di licenziamento presentano la dicitura “riduzione del personale”. È la motivazione usata dal datore di lavoro per licenziare un lavoratore a prescindere dal contratto stipulato. Significa in parole povere che l’azienda ha delle difficoltà, che l’attività non va bene e che i servizi del lavoratore diventano controproducenti. Capita spesso agli occhi del licenziato, un caso assai particolare. L’azienda da cui è stato messo alla porta, tutto sembra tranne che in crisi. E poi, dopo pochi giorni dalla data del proprio licenziamento, viene assunto dalla stessa azienda un nuovo lavoratore. In questo caso impugnare il licenziamento provando a far valere le ragioni di illegittimità è possibile. Naturalmente se il licenziamento è per giustificato motivo oggettivo, cioè se non dipende da comportamenti poco opportuni del lavoratore.
IL GIUDICE PUÒ AVVIARE INDAGINI APPROFONDITE
Per impugnare un licenziamento occorre rivolgersi ad un Tribunale. Deve essere un Giudice a far partire le indagini per verificare se il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia valido. Bisognerà approfondire le motivazioni che hanno spinto il datore di lavoro a porre fine ad un rapporto di lavoro con un proprio dipendente. Ed anche le motivazioni che hanno spinto lo stesso datore di lavoro ad assumerne un altro, di fatto sostituendo il primo. Va sottolineato che è la Costituzione a prevedere la piena libertà di una azienda o di un datore di lavoro. Se una azienda non ha più bisogno di un falegname perché non tratterà più il legno nei propri processi produttivi, nessuno potrà mai obbiettare nulla.
Anche se al posto del dipendente addetto al legno, ne risulterà un altro con funzioni differenti. Ed è questo che il Giudice deve appurare, cioè se il licenziamento sia davvero dovuto ad una riorganizzazione aziendale o ad una crisi di attività. In altri termini il giustificato motivo oggettivo non deve essere una scusa per cambiare dipendente. Il datore di lavoro non ha pienamente mano libera nel licenziare un dipendente nel momento in cui in azienda sono più di uno i lavoratori addetti alle mansioni del ricorrente (lavoratore licenziato). Saranno da valutare anzianità di servizio, numerosità della famiglia. Inoltre il datore di lavoro deve dimostrare di aver provato a inserire il lavoratore poi licenziato, in mansioni aziendali diverse da quelle per cui era assunto. In questi casi il lavoratore licenziato può denunciare l’accaduto e può vincere la causa.